I never knew a soul who ever took a licking.
My friends have all been champions at everything.
And I, so often vulgar, so often obscene, so often vile,
I, so deliberately parasitical,
Unforgivably filthy,
I, so often without patience to take a bath,
I, who’ve been so ridiculous, so absurd,
Tripping up in public on the carpet of etiquette,
I, so grotesque and mean, submissive and insolent,
Who’ve been insulted and not said a word,
And when putting a word in growing still more ridiculous,
I who strike chambermaids as laughable,
I who feel porters wink sarcastically,
I who’ve been scanadalous about money, borrowing and not paying it back,
I, who when the time came to fight, ducked
As far as I could out of punching range,
I who go into a sweat over the slightest thing —
I’m convinced no one’s better than I at this sort of game.
No one I know, none of my speaking acquaintances,
Ever acted ridiculous, ever took insults,
Was ever anything but noble — yes, all of them princes, living their lives,
How I’d love to hear a human voice, from any one of them.
Confessing not to sins but to infamies,
Speaking not of violent but of cowardly acts!
But no, each one’s a Paragon, to hear them tell it.
Is there no one in this world who’d confess to me he’s been vile just once?
All you princes, my brothers,
Enough — I’m fed up with demigods!
Where are the real people in this world?
Am I the only scoundrel and bungler alive?
Maybe women don’t always fall for them.
Maybe they’ve been betrayed. But ridiculous? Never!
And I, who’ve been ridiculous but never betrayed,
How do I speak before their Highnesses without stammering?
I, who’ve been vile, literally vile,
Vile in the meanest and rottenest possible sense of the word.
Non ho mai conosciuto chi abbia preso legnate.
Tutti i miei conoscenti sono stati campioni in tutto.
Ed io, tante volte spregevole, tante volte porco, tante volte vile,
io tante volte innegabilmente parassita,
inescusabilmente sudicio,
io, che tante volte non ho avuto pazienza di fare il bagno,
io, che tante volte sono stato ridicolo, assurdo,
che ho involto pubblicamente i piedi nei tappeti dell’etichetta,
che sono stato grottesco, meschino, sottomesso e arrogante,
che ho patito oltraggi e taciuto,
che quando non ho taciuto, sono stato più ridicolo ancora;
io, che sono riuscito comico alle cameriere d’albergo,
io, che ho sentito lo strizzar d’occhi dei facchini,
io, che ho commesso vergogne finanziarie, chiesto prestiti senza pagarli,
io, che, quando venne l’ora del cazzotto, mi sono rintanato
fuori della sua portata;
io, che ho sofferto l’angoscia delle piccole cose ridicole,
io verifico che non ho eguali in tutto ciò in questo mondo.
Tutta la gente che conosco e che parla con me
non ebbe mai un gesto ridicolo, non patì mai oltraggio,
non fu mai se non principe – tutti principi – nella vita…
Volesse il cielo che udissi da qualcuno la voce umana
che confessasse non un peccato, ma un’infamia;
che raccontasse, non una violenza, ma una viltà!
No, sono tutti l’Ideale, se li odo e mi parlano.
Chi c’è in questo vasto mondo che mi confessi che una volta è stato vile?
O prìncipi, miei fratelli,
orsù, sono stufo di semidei!
Dov’è che c’è gente nel mondo?
Allora sono solo io vile e fallace su questa terra?
Potranno le donne non averli amati,
possono essere stati traditi – ma ridicoli mai!
E io, che sono stato ridicolo senza essere stato tradito,
come posso parlare coi miei superiori senza titubare?
Io, che sono stato vile, letteralmente vile,
vile nel senso meschino e infame della viltà.
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