La sera invernale scende giù
con odori di bistecche nei passaggi.
Le sei.
I mozziconi bruciacchiati di giorni fumosi.
E ora una pioggia ventosa avvolge
brandelli fangosi
di foglie vizze attorno ai tuoi piedi
e giornali soffiati da spiazzi vuoti;
la pioggia batte
su imposte e comignoli rotti,
e all’angolo della strada
un cavallo solitario vapora e scalpita.
E poi l’accendersi dei lampioni.
La mattina viene alla coscienza
con il lieve odore stantio di birra
dalla strada pesta di segatura
con tutti i suoi piedi infangati che premono
ai primi chiostri per il caffè.
Con le altre mascherate
che il tempo resuscita,
si pensa a tutte le mani
nell’atto di alzare tendine logore
in mille stanze ammobiliate.
Hai gettato il lenzuolo dal letto,
sei rimasta sdraiata e hai aspettato;
hai sonnecchiato e osservato la notte
rivelare
le mille sordide immagini
che costituivano la tua anima;
guizzavano contro il soffitto.
E quando il mondo intero ritornò
e la luce s’insinuò tra le imposte
e udisti i passeri nelle grondaie,
hai avuto una tale visione della strada
che la strada stenterebbe a capire;
seduta sul ciglio del letto, dove
hai srotolato i bigodini dai capelli,
o stretto le piante gialle dei piedi
nei palmi delle tue mani sporche.
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