Chi sia stato il primo, non è certo. Lo seguì un secondo, un terzo. Poi, uno dopo l’altro, tutti han preso la stessa via. Ora non c’è più nessuno. La mia casa é la sola abitata. Son vecchio. Che cosa mi trattengo a fare, quassù, dove tra breve forse nemmeno ci sarò più io a farmi compagnia? Meglio – lo so – è ch’io vada prima che me ne vada anch’io. Eppure non mi risolvo. Resto. (…) La sera siedo su questo sasso, e aspetto. Aspetto non so che cosa, ma aspetto. Il sonno. La morte direi, se anch’essa da un pezzo – già non se ne fosse andata da questi luoghi. Aspetto e ascolto. (L’acqua, da quanti milioni d’anni l’acqua, ha questo suo stesso suono sulle sue pietre?) Mi sento perso nel tempo. Fuori del tempo, forse. Ma sono con me stesso. Non voglio lasciare me stesso uscire da me stesso come dal sotterraneo il grillotalpa in cerca d’altro buio. Il trifoglio della città è troppo fitto. Io son già cieco. Ma qui vedo. Parlo. Qui dialogo. Io qui mi rispondo e ho il mio interlocutore. Non voglio murarlo nel silenzio sordo d’un frastuono senz’ombra d’anima. Di parole senza più anima.
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