La fenomenologia fornisce preziosi spunti per articolare la natura e l’esperienza dei nuovi media. Con fenomenologia si intende un movimento filosofico iniziato da Edmund Husserl durante i primi decenni del XX secolo e ulteriormente sviluppato da diverse dottrine filosofiche e approcci di ricerca in Europa e oltre.
La fenomenologia indaga come i fenomeni appaiono attraverso l’esperienza o nella nostra coscienza. La coscienza è diretta verso qualcosa – l’oggetto intenzionale – ed è intenzionale in quanto si riferisce ai fenomeni, che si riferiscono alla coscienza – così la coscienza è sempre coscienza di qualcosa, il cogito ha sempre un cogitatum. La relazione tra l’atto che intende l’oggetto (noesis) e l’oggetto inteso (noema) è definita come struttura correlazionale dell’intenzionalità, nel senso che i due poli non possono
essere compresi come separati l’uno dall’altro.
Husserl (1936) muove da una critica del positivismo, che separa il soggetto dal mondo della vita (Lebenswelt) e riduce la filosofia alla conoscenza scientifica. Per tornare alle cose stesse e alle loro essenze, propone il metodo della riduzione fenomenologica o epoché, dal greco ἐποχή, che si riferisce alla sospensione del giudizio sul fenomeno considerato.
I seguaci di Husserl hanno criticato e ampliato la sua visione e metodo della fenomenologia, sviluppando approcci diversi come quello trascendentale, ermeneutico ed esistenziale. Le ricerche sullo status dell’arte acquistano molta popolarità tra i fenomenologi, nonostante Husserl non gli avesse dedicato un’ attenzione specifica: l’artista viene definito come colui che imprime forme all’intenzionalità, mentre l’opera d’arte è una creazione vivente che ha esistenza intersoggettiva, attraverso la quale si può raggiungere l’Erlebnisse del godimento artistico.
Ad esempio, Maurice Merleau-Ponty (1948) mette in discussione la coscienza trascendentale husserliana ponendola come corporalmente incarnata nel mondo: è il soggetto-corpo, come percipiente percepibile, che percepisce. La percezione è caratterizzata dalla reversibilità: il corpo può toccare qualcosa, ma anche essere toccato.
Nei suoi ultimi lavori Merleau-Ponty (1961; 1964) articola un’ontologia indiretta, o ontologia della “carne del mondo”, in cui soggetto e oggetto visceralmente si intrecciano l’uno con l’altro: la percezione corporea è il nucleo di ogni sapere, un’unica carne in cui si radica la radice di ogni precategoriale (Cloonan, 2010). La reversibilità tra l’artista e l’opera è particolarmente potente in quanto l’artista è colui che tocca e comunica gli estremi del visibile e dell’invisibile, inteso come la trama segreta del visibile.
In maniera simile, Mikel Dufrenne (1953; 1989) interpreta l’esperienza estetica come comprensione corporea di sensuous comunicante verità. Dufrenne esamina l’oggetto estetico e la sua percezione considerando i due termini come inseparabili. Le opere d’arte diventano oggetti estetici quando percepite esteticamente nel loro significato e sensuous.
Gli oggetti estetici esistono per essere percepiti da spettatori, e sono infine percepiti attraverso il sentimento, che agisce come organo trascendentale e coglie i nuclei di senso dell’opera, detti apriori affettivi. L’ opera é caratterizzata dalla nozione di profondità poiché nel suo comunicarsi esige la presenza totale del soggetto; l’esperienza estetica rivela sia la presenza dell’artista che dello spettatore in una dimensione trascendentale o a priori che consente la riconciliazione di soggetto e oggetto e permette quindi di creare non un pubblico ma un noi, (Franzini, 1996; Feezell, 1980; Manesco, 1977). L’arte disvela la verità “perché l’arte e la realtà sono aspetti di un unico essere onnicomprensivo [1]Dufrenne,
1953, p.539. La conoscenza apriori dell’ esistenziale è già posseduta dal soggetto, ed è virtuale nel senso di possibilità.
Roman Ingarden (1931; 1961) invece delinea un’ontologia dell’opera d’arte concepita come creazione stratificata ed eterogenea, e la differenzia dall’oggetto estetico, il quale è la concretizzazione dell’opera.
Ingarden vuole mettere in rilievo la struttura fondamentale comune a tutte le opere letterarie, prescindendo da ogni discorso sul loro intrinseco valore.
Mi riferisco inoltre a Luciano Anceschi (1936; 1974; 1986), critico militante che delinea la sua estetica fenomenologica partendo da forme tradizionalmente connotate come pragmatiche, come le nozioni di poetica e istituzioni letterarie. Anceschi contrappone al sistema chiuso rappresentato dal neoidalismo, che impone le proprie categorie alla realtà e quindi significa le strutture, una sistematica aperta intesa come un sistema che si significa attraverso le strutture e integra gli schemi parziali (1962; 1981; 1995). Per non ossificare la realtà, la teoria deve iniziare e riferirsi direttamente e continuamente all’esperienza vissuta e concreta dell’arte. Il campo dell’estetica è ordinato da un principio trascendentale chiamato idea di esteticità, che non è un a priori puro, immutabile o metafisico , ma si pone come principio metodico autonomo.
Le teorie anceschiane sono fortemente influenzate dal pensiero di Antonio Banfi (1947;1962), che introdusse la fenomenologia in Italia, Paul Valery (1924; Crescimanno, 2006) e John Dewey. Dewey (1934; 1950) definisce l’arte in termini di esperienza e distingue tra esperienza in generale e un’esperienza, che ha qualità individuali e singolari che influiscono sulle nostre vite. Il processo artistico è considerato come lo sviluppo di un’esperienza. L’opera non è un oggetto ma “la costruzione di un’esperienza integrale attraverso l’interazione tra condizioni ed energie organiche e ambientali” (1934, p86) in quanto ha valore vitale in grado di comunicare emozioni e significati stimolando l’immaginazione.
Secondo l’estetica fenomenologica, il soggetto – come soggetto-corpo – e l’oggetto si intrecciano l’un l’altro in una relazione reversibile in quanto poli dialettici. Intenzionalità, autocoscienza, incarnazione e intersoggettività emergono come concetti chiave.
Riferendomi a Flusser, Idhe, Merleau-Ponty e Dufrenne, la nostra relazione con i nuovi media è una relazione tra corpo e strumento. L’esperienza estetica è un processo corporeo, che supera una percezione puramente sensoriale in quanto l’oggetto è corporeamente presente. Concordando con Anceschi e Dewey, l’arte è un’esperienza profondamente connessa al nostro ambiente naturale e culturale. Pertanto, la teoria deve nascere direttamente dall’esperienza vissuta e concreta dell’arte viva, dando valore alla nozione di sentimento. La fenomenologia inizia a configurarsi come una metodologia con attitudine al concreto , che riconosce la dinamicità e la tensione dell’esperienza, ricostruendola in modo organico. L’ epoché viene ripresa in senso metodologico, per cui viene sospeso il giudizio sulle soluzioni di un problema determinato ma si nega la possibilità di una riduzione originaria. Il metodo fenomenologico permette di procedere per rilievi, nel senso di ipotesi specifiche sottoposte a continua verifica, che costituiscono un ordine di relazioni dinamico e aperto. Tale metodo permette di offrire contributi significativi allo studio dell’estetica e dei nuovi media.
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